La compagnia, fondata nel 1958 aveva sede a Roma ed era il secondo vettore nazionale.
Furono chiamate le “carrette del cielo”. La compagnia fu costretta a chiudere in quanto si erano avanzate critiche sulla sua flotta definita obsoleta e tale quindi da offrire dubbi sulla sua sicurezza.
Eppure, incredibilmente una ricerca fatta oggi, ad oltre quarant’anni di distanza dall’incidente di Ustica, svela non poche sorprese.
Quando il 27 giugno 1980 avvenne la sciagura di Ustica al volo 870 con la perdita di 81 vite umane, la Commissione Luzzatti, istituita dal Ministero dei Trasporti per far luce sull’incidente, aprì indagini e analisi tecniche sugli altri DC9 che in quel momento facevano parte della flotta Itavia.
Il rapporto, oltre all’incidentato ben noto I-TIGI , elencava altri sette velivoli di quel modello in forza alla flotta Itavia:
I-TIGU c/n 45718 modello 15
I-TIGA c/n 45728 modello 11
I-TIGE c/n 45717 modello 15
I-TIGB c/n 47002 modello 15
N934F c/n 47148 modello 32CF
N7465B c/n 47465 modello 33CF
N94454 c/n 47291 modello 33RC
I media ed anche personaggi politici in Parlamento attaccarono la compagnia accusandola di avere una flotta di DC9 che erano “vecchi” che non erano stati comprati dalla fabbrica, la Douglas, bensì sul mercato dell’usato: insomma una pioggia di critiche che portò al blocco delle operazioni e al fallimento della compagnia.
Dal momento che le indagini avevano appurato che l’incidente era stato causato da un attentato (esterno o interno non è questa la sede per disquisire) il motivo che portò alla chiusura delle operazioni si rivelò indubbiamente prematuro ed errato, fatto questo che avrebbe dovuto portare ad una “riabilitazione” della compagnia dal punto di vista tecnicooperativo, invece non ci fu alcun ripensamento sulla ripresa delle attività.
Ma tralasciando questo particolare pur di non poco conto che significò la perdita del posto di lavoro per oltre mille
persone e la scomparsa del secondo vettore nazionale, abbiamo voluto accentrare la nostra ricerca su un aspetto alquanto trascurato:
che fine hanno fatto i sette DC9 che facevano parte della “obsoleta” flotta Itavia?
Tenuto conto di ciò che si era detto su di loro, immaginavamo che dopo pochi mesi li avremmo trovati parcheggiati nei desolati cimiteri degli aeroplani abbandonati, per essere cannibalizzati ed usati per ricavarne pezzi di ricambio.
Ecco invece ciò che abbiamo scoperto.
I-TIGU. E’ transitato per le flotte di altre tre compagnie aeree ed è rimasto in servizio fino al giugno del 2006.
I-TIGA. Ha volato con i colori di altre due compagnie aeree ed è rimasto in servizio fino al settembre 2005.
I-TIGE. Ha volato per altre due compagnie aeree, anch’esso è rimasto in servizio fino al settembre 2005.
I-TIGB. Il cinque febbraio 1985 ha avuto un incidente in fase di decollo all’aeroporto di Philadelphia mentre operava per i colori della compagnia statunitense Airborne Express ed è stato cancellato dal registro aeronautico.
N934F. Manteneva l’immatricolazione americana in quanto preso in leasing dal gennaio 1979 al novembre 1980. Dopo essere passato per due compagnie aeree è stato acquistato nell’ottobre 2012 da un vettore messicano e risulta ancora attivo.
N932CE. E’ rimasto in servizio fino al marzo 2020 presso diverse compagnie aeree.
N94454. E’ rimasto in servizio fino al dicembre 2019 presso diverse compagnie aeree.
Alla luce di questa sorprendente longevità di servizio dobbiamo purtroppo annotare come la maggior parte delle notizie fatte circolare all’indomani della sciagura di Ustica sulla vetustà dei velivoli Itavia, e quindi di quanto pericoloso fosse tenerli in volo, era assolutamente ingiustificata.
Indubbiamente i dibattiti che si tennero in Parlamento all’indomani della sciagura che portarono alla revoca della licenza di esercizio e alla sospensione dei voli che avvenne il 10 dicembre 1980, dovrebbero essere motivo di riflessione sul comportamento dei media all’indomani di una sciagura aerea.
Nota: Il DC9 della compagnia messicana Aeronaves TSM (XA-UQT) ancora oggi in servizio è stato fabbricato dalla
Douglas nel 1967.
Antonio Bordoni
Fonte: air-accidents.com